"Gli spettatori non trovano quello che desiderano, ma desiderano quello che trovano." Guy Debord
La società dello spettacolo è stato un libro di culto che non ha mai smesso di essere tale. Ma la sua circolazione è stata quasi sotterranea. Penso che quando apparve fosse troppo avanti per essere capito fino in fondo. Il mondo accademico non poteva prenderlo sul serio. Il libro di Debord è stato così - come ha notato Ghezzi - il testo più saccheggiato, più utilizzato e meno citato dal '68 a oggi.
Nel 1967 quando Debord scrive La società dello spettacolo il consumismo è appena agli esordi. I media hanno un peso limitato, la televisione ha ancora l'impostazione pedagogica che privilegia la censura rispetto alla molteplicità delle offerte. L'ideologia dominante è il marxismo nella sua forma più limitativa. Ancora nel '69 Althusser, nella sua prefazione al Capitale, consiglia di saltare la prima sezione del libro, a suo parere ancora troppo legata al pensiero di Hegel. Proprio su questa sezione del Capitale, l'analisi del carattere "feticcio" della merce, Debord fonda la sua analisi della società dello spettacolo.
C'è una parte dell'analisi di Marx che rimane legata a un periodo storico arcaico, ad una parte della produzione pesante, materiale, primaria. L'umanità esce da secoli di carestie, di pestilenze, di privazioni. Il capitalismo mette in moto un meccanismo capace di produrre per la prima volta meri in quantità sufficiente a sfamare e coprire la totalità della popolazione. Ma gli scenari del primo capitalismo sono ancora scenari di miseria, di fame, di sfruttamento. La nascita del capitalismo prevede, secondo il marxismo, un'accumulazione originaria, la formazione del capitale, che sarà investita in attività produttive. Questa accumulazione viene fatta a spese dei lavoratori in base al meccanismo che Marx descrive come formazione del plusvalore. Al lavoratore per mantenersi sono necessarie determinate ore di lavoro. Ma il lavoro che il lavoratore è in grado di produrre è giornalmente superiore. Nel capitalismo il valore di ogni cosa è dato dal tempo di lavoro socialmente necessario al suo mantenimento. Pagando al lavoratore un salario pari a questo corrispettivo l'imprenditore si assicura l'unica forma di valore capace di produrre nuovo valore: il lavoro umano.
L'analisi marxista del lavoro come fonte di valore non è che l'ultimo tassello di un problema che aveva appassionato sino ad allora gli economisti: da dove nasce il valore?
Con la teoria del plusvalore Marx sostiene di aver superato il socialismo utopistico dei suoi predecessori, per fondare il socialismo scientifico.
Lo sfruttamento del datore di lavoro sul lavoratore non è più una semplice accusa indimostrabile, ma nasce matematicamente, secondo Marx, dalla differenza tra le ore di lavoro che il lavoratore è in grado di produrre e il tempo di lavoro socialmente necessario al suo mantenimento. Il cosiddetto socialismo scientifico ha però le sue radici in un meccanismo incompatibile con la società consumistica. Sottraendo al lavoratore quanto eccede alle sue necessità primarie, l'imprenditore gli impedisce di fatto di accedere ai consumi. La conseguenza sarà costituita dalle periodiche crisi di sovrapproduzione a cui il capitalismo andrà incontro. Soddisfatti i bisogni primari, la produzione capitalistica crescente, rischia di restare invenduta. Lo sfruttamento del lavoratore è insieme alla base della nascita del capitalismo e della sua messa in crisi.
Secondo Marx la merce si compone di valore d'uso e di valore di scambio. Il valore d'uso è il consumo materiale della merce. Il valore di scambio è il suo potere di circolazione.
Nella società capitalistica avanzata l'uso perde sempre più importanza rispetto allo scambio. Ogni oggetto conta non in quanto tale, ma in quanto merce. Il carattere simbolico della mere prende il sopravvento sui suoi caratteri principali. La merce tende così a diventare sempre più un'astrazione.
All'interno della società capitalistica avanzata, il lavoro basato sulla macchina, da attivo diventa sempre più contemplativo. Qui si inserisce il discorso di Debord sullo spettacolo. Lo spettacolo non è che l'ultima proiezione della merce, privata del suo valore intrinseco e ridotta a puro valore di scambio.
"Lo spettacolo è la principale produzione della società attuale." §15
Nelle società capitalistico-avanzatela produzione è sempre più produzione d'immateriale.
Il mondo reale s'è trasformato in immagini, le immagini diventano reali.
Nel mondo dominato dai media, tutto può venir messo in discussione, a eccezione dello spettacolo stesso.
Estratto dalla prefazione di Carlo Freccero e Daniela Strumia di: La società dello spettacolo.
Commenti
Posta un commento